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Bistum Chur

Messa crismale, omelia del vescovo Joseph Maria

Cari sacerdoti, diaconi, operatori e operatrici pastorali,
Cari fratelli e sorelle,

Anzitutto desidero esprimere il mio profondo ringraziamento a tutti i sacerdoti, diaconi e operatori e operatrici pastorali per il vostro quotidiano servizio nella nostra diocesi. Ogni anno, la Messa crismale offre una buona occasione per poter esprimere questo mio ringraziamento. E se lo faccio ogni anno non è per routine, ma dal profondo del mio cuore. Insieme, possiamo compiere il nostro ministero. Il vostro impegno e il vostro operare è allo stesso tempo servizio a Dio e servizio all’uomo, servizio alla gloria di Dio e agli uomini. Ciò che facciamo insieme, è la concretizzazione e la continuazione dell’opera di redenzione del nostro Salvatore.

Nella Liturgia di oggi leggiamo il passaggio dal libro del profeta Isaia, in cui viene descritta l’opera del Messia. Le parole profetiche esplicano l’opera di salvezza di Nostro Signore. Queste parole spiegano molto bene, ciò che può soddisfare e ciò che può realizzare la nostra vita. Spiegano molto bene perché noi – perché il popolo di Dio, in fondo tutta l’umanità – possiamo rimanere lieti e fiduciosi, nonostante tutte le avversità e gli abissi di crudeltà. La storia della salvezza rimane attuale e noi vi apportiamo il nostro personale contributo. È un contributo insostituibile per la realizzazione della salvezza. Il nostro Redentore conta su di noi e attende il nostro contributo.

 «Mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato». Siamo tutti consacrati e mandati. Siamo Chiesa ed edifichiamo la Chiesa quando siamo consapevoli del nostro mandato e della nostra missione e lo esercitiamo. Una Chiesa sinodale è una Chiesa evangelizzatrice, una Chiesa in cammino per gli uomini, verso gli uomini e con gli uomini. Come avviene l’evangelizzazione? Le parole del profeta sono chiare: «Mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, per dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto».

Non è oggi forse il momento adatto perché ognuno si chieda: con quale forza, con quale convinzione, con quale spinta e quale entusiasmo promulgo l’anno di grazia del Signore e annuncio che nel Signore e con il Signore possono essere superati tutti gli ostacoli della nostra vita? Crediamo davvero che ci troviamo sempre, in ogni tempo, in un anno di grazia? Perché questa non rimanga una teoria utopica, conosciamo la via, e cioè: andare senza indugio verso i poveri, i cuori spezzati, i prigionieri e chi è legato nelle catene della schiavitù. Come riusciamo a fare questo meglio? Come possiamo divenire, con maggiore decisione, una diocesi  attenta alla diaconia? La diaconia non è un’aggiunta o un ornamento al processo sinodale, ma dovrebbe esserne il cuore e l’anima. Essere vicini a coloro che sono incatenati e imprigionati da ogni tipo di vincoli e ideologie, discriminazioni e condanne, lasciarsi per così dire incatenare con loro per trovare insieme la via della libertà, fa assolutamente parte dell’attuazione del manuale per una Chiesa sinodale. Molti di voi sono direttamente presenti in prima linea e si dedicano a chi è in lutto, ai malati e ai sofferenti, ai rifugiati e agli sfollati, alle persone sole e scoraggiate: quanto ne è grato Dio! Quando facciamo questo, anche noi traiamo conforto, gioia e incoraggiamento nel nostro comune impegno.

Essere Chiesa però non si riduce all’istituzione di un’organizzazione sociale. Siamo «sacerdoti del Signore», «ministri del nostro Dio» anche, e non in ultimo, per proclamare la vendetta del nostro Dio. Si tratta di glorificare Dio, dare a Dio il posto che gli spetta. Solo se glorifichiamo Dio, lo lodiamo, lo onoriamo e lo ringraziamo, glorifichiamo veramente l’uomo. Questo dovrebbe guidarci e indicarci la giusta via quando svolgiamo il servizio liturgico. Il centro, il mezzo e il fine della Liturgia è Dio stesso. Il grande artefice dell’Eucaristia è LUI e non noi. Una comunità eucaristica gradita a Dio è e rimane una comunità adorante. Da questo atteggiamento nasce il rinnovamento della Chiesa, la trasformazione, la vitalità e l’innovazione.

Quanto è confortante sentire che riceveremo in premio la fedeltà del Signore, che la sua alleanza d’amore con noi è definitiva, eterna e indissolubile.

Concedetemi un’ultima riflessione: nel Vangelo di oggi leggiamo che Gesù «secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga». Andò nella sinagoga, ma il suo annuncio non era di routine, incolore, ma possedeva la forza della novità. Tutti i presenti ascoltavano incantati e si sentivano scossi. Tutti gli occhi erano fissi su di lui. Gesù entrò nella sinagoga come al solito, ma non con „abitudine“. Ha sempre fatto tutto con la novità dell’amore, con la freschezza e l’efficacia dell’amore divino. Credo che abbiamo qui la ricetta per un rinnovamento credibile della nostra vita ecclesiale e per l’efficacia del nostro lavoro pastorale. Amen

Coira, 25 marzo 2024
+ Joseph Maria